Omer Meir Wellber spiega il programma che il 4 maggio chiude la stagione e dà delle anticipazioni sul Festival Toscanini di cui è Direttore Artistico

Una sinfonia che agli ascoltatori torce le budella, la Patetica di Čajkovskij. Due meditazioni su Bach: Webern che nel Novecento ragiona sul Ricercare a sei voci dell’Offerta musicale mentre l’uzbeka Aziza Sadikova, oggi, riflette sulla Ciaccona. Ecco il concerto impaginato da Omer Meir Wellber per La Toscanini. Fatto di cuore e cervello. Ma forse più di cuore.

Maestro Wellber, quale idea portante sorregge il programma?

“Quella di metamorfosi, che in musica si attua attraverso la tecnica delle variazioni. Una questione che riguarda tanto le combinazioni di suoni quanto qualsiasi essere umano. Mi spiego: quando un individuo muta nel tempo per aspetto, psicologia, carattere, resta comunque, malgrado tutto, sempre la stessa persona oppure diventa altro da sé? Allo stesso modo, se un tema musicale si trasforma rispetto a ciò che era in origine, perde nel cambiamento la propria tipicità o piuttosto si potenzia? Su questo si interroga la serata”.

Webern traveste la partitura bachiana di timbri trascoloranti. Ma le altre composizioni come trattano il principio della variazione?

“Prendiamo la Chaconne di Sadikova, che pure deriva da Bach, dalla Ciaccona per violino. Qui, al testo originale, intatto, si sovrappone l’orchestra, che gli sta dietro come uno spirito avvolgente. Invece nella Patetica di Čajkovskij un medesimo motivo percorre l’intera sinfonia, più o meno evidente, più o meno elaborato all’interno di ciascun movimento”.

In effetti la Patetica racconta una storia. E dolorosa. Di lì a poco Čajkovskij si sarebbe suicidato per sfuggire alla gogna pubblica che gli si preparava, con l’accusa di omosessualità.

“Ma questa sinfonia non racconta proprio nulla! Spesso storie e storielle vengono appiccicate su composizioni che niente hanno a che spartire con quelle narrazioni. Pensare, invece, che l’unico valore superiore ai libri che possiede la musica è quello di saper parlare differentemente a ciascuno: la mancanza di parole ne favorisce, infatti, la comprensione generale. Per giunta oggigiorno bisogna pure interpretare correttamente il titolo della sinfonia. Che deriva da pathos, passione. Mentre nel linguaggio comune l’aggettivo ‘patetico’ sa di piagnucoloso”.

Comunque, durante la stesura di questa Sesta Sinfonia l’esistenza di Čajkovskij stava scivolando rapida verso la tragedia.

“Certo, vi si riversa l’esperienza personale del compositore creando grande impressione all’ascolto. Ed è un’emozione, però, che travalica il sentimento del singolo, amplificandosi in commozione comunitaria. Dipende dal fatto che gli autori russi – non solo musicisti – penetrano nelle loro opere non soltanto come individui ma come voce del popolo cui appartengono. Ogni autore, cioè, si fa portavoce dell’intera nazione russa”.

Di questa tradizione l’uzbeka Aziza Sadikova è un’erede…

“Lei, a cui ho commissionato già una quantità di pezzi per varie orchestre d’Europa, discende direttamente da Čajkovskij, Šostakovič, Schnittke, Gubajdulina. Il che significa che ha radici nel passato e sguardo mistico. Appartiene a quel filone musicale, capeggiato da Stravinskij, che ha vinto la battaglia del Novecento contro i compositori di scuola austro-tedesca, contro Boulez, contro l’avanguardia italiana del secondo dopoguerra”.

Come si spiega che gli sperimentalisti radicali abbiano perso?

“Rispondo con una domanda. Chi conosce qualcuno che abbia voglia di ascoltare dall’inizio alla fine un pezzo di Boulez, di Varèse, di Luigi Nono? La ragione della loro débâcle è l’aver scritto musica intellettualistica che rifiuta l’emozione, che scansa l’individuo. Finché questi compositori dalla personalità affascinante sono stati in vita, la loro produzione ha circolato. Dacché loro non ci sono più, ha perso d’interesse. Tutto al contrario di quella di Šostakovič, che invece era un uomo grigissimo, che non profferiva parola in pubblico. Eppure lui, con due note, riesce a buttarci nel terrore staliniano, costruendo musica che possiede la solidità di un grande albero, mentre il ricco, bianco, coltissimo francese Boulez ha scritto partiture che il primo vento ha disperso come granelli di sabbia. È anche questione di talento: Richard Strauss batte tutti i Webern del mondo, e così Piazzolla, le cui melodie si imprimono nel cuore di ciascuno”.

Lei, Maestro, è direttore musicale del festival dedicato ad Arturo Toscanini, la cui seconda edizione prenderà il via a breve. Ma che immagine ha un direttore della sua generazione, quarantenne, di questa leggenda del podio?

“Da adolescente lo adoravo. Possedevo tutte le sue incisioni, le ascoltavo compulsivamente. Mi colpiva il suo pathos: qualsiasi pezzo dirigesse, pareva stesse partendo per la guerra”.

Del resto, Toscanini è stato combattivo anche nella vita…

“Ed è davvero curioso come un uomo del genere, sanguigno antifascista, dinanzi all’orchestra si comportasse però da dittatore assoluto. Benché forse noi, oggi, ne abbiamo una visione parziale: lo sentiamo urlare e inveire contro gli orchestrali in certe registrazioni, ma non siamo più in grado di coglierne l’aspetto seduttivo, quello che soggiogava le folle. E le donne”.

Il programma ideato per il festival in che modo si collega all’arte di Toscanini?

“Per esempio, c’è l’attenzione al folklore (che a Toscanini non era indifferente), qui rappresentato dalla congiunzione fra le Quattro stagioni di Vivaldi e quelle di Piazzolla. Inoltre, un concerto che accoppia due capisaldi del suo repertorio, Verdi e Wagner, con il quale la Filarmonica Toscanini e io andremo anche a Dresda”.

Gregorio Moppi

 

Toscanini? Da adolescente lo adoravo. Possedevo tutte le sue incisioni, le ascoltavo compulsivamente.

 

Giovedì 4 maggio ore 20.30 | Parma, Auditorium Paganini

OMER MEIR WELLBER Direttore
JACOB REUVEN Mandolino
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI

Anton Webern
Ricercata, fuga a 6 voci

Aziza Sadikova
Chaconne per mandolino e grande orchestra sulla Partita n. 2 per violino solo BWV 1004 di J.S. Bach
prima esecuzione assoluta

Pëtr Il’ič Čajkovskij
Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 Patetica