Aziza Sadikova, compositrice in residence alla Toscanini, si racconta

di Gianluigi Mattietti

La sua musica spazia tra stili diversi. Echeggia diverse epoche della storia della musica. Sperimenta soluzioni strumentali non convenzionali e guarda con interesse al gesto e al teatro musicale. Rimanda spesso a immagini di tipo letterario, artistico o filosofico. Usa materiali elementari ma di grande forza plastica, e con queste crea percorsi ad alta intensità drammatica, che catturano l’ascoltatore. Aziza Sadikova, che ha da poco firmato un contratto esclusivo con Boosey & Hawkes, si sta imponendo con forza nel panorama della nuova musica. Nata a Tashkent, in Uzbekistan, nel 1978, è figlia (e nipote) d’arte: suo padre, Otlun Sadikov (1947), è compositore e direttore d’orchestra, e suo nonno, Tolibjon Sadikov (1907-1957), pure compositore, è stato tra i fondatori della musica professionale nel suo paese, e a Tashkent portano il suo nome una strada, un museo e la scuola di musica. Dopo aver studiato pianoforte dall’età di 5 anni in una scuola speciale per bambini “superdotati” è entrata al Conservatorio di Tashkent nella classe di Dmitri Yanov – Yanovsky (1963), compositore uzbeko formatosi ed affermatosi in Europa (ha studiato anche all’Ircam di Parigi).

 

Cosa ricordi dei tuoi studi con Yanov-Yanovsky?

Aveva solo cinque studenti e io ero uno di questi. Ci portava sempre nuove partiture e molte registrazioni. Aveva anche organizzato a Tashkent un festival di musica contemporanea, davvero incredibile, si chiamava Ilkhom XX. Invitava musicisti come Yo-Yo Ma, ensemble come Bang on a Can, diversi compositori italiani. Lì ho scoperto la musica di Sofia Gubaidulina: ne ero strabiliata, era così emozionante. Gli anni di studio con Yanov-Yanovsky sono stati molto fecondi. E tutto è nato lì: ho capito l’aspetto emotivo, ho capito che la musica contemporanea poteva essere qualcosa di fresco e coinvolgente. Per noi che eravamo stati educati sui modelli di Rimsky-Korsakov, è stata una vera rivelazione.

 

Poi hai proseguito i tuoi studi Inghilterra al Conservatorio di Birmingham con Philip Cashian, e al Trinity College con Alwynne Pritchard. Che influenza hanno avuto sulla tua musica?

Alwynne Pritchard è stata molto interessante perché è anche una performer, guarda alla musica in modo totalmente diversa. Spiegava che puoi prendere un oggetto musicale e capovolgerlo completamente, o prenderne una piccola parte, o smontarlo e ricombinarlo. E mi dicevo: “Wow! Non ci avevo pensato”, perché pensavo al fare musica in un modo molto conservatore, mentre lei mi ha fatto capire che c’è una grande libertà dentro di noi.

 

Però poi ti sei trasferita a Berlino?

In Inghilterra ho studiato, ma non ci sono molte commissioni per giovani compositori, soprattutto stranieri. In Germania invece ho trovato subito un grande interesse per la mia musica. Rispetto a Londra, la scena musicale qui è più varia e vibrante, ci sono molti festival, e molti musicisti e artisti interessanti, giovani e pieni di talento. Ora sto scrivendo un concerto per violino, fisarmonica e orchestra, Labyrinthe du Temps, commissionato dalla Deutsche Kammerphilharmonie di Brema per Hilary Hahn. E il Gewandhaus di Lipsia mi ha commissionato un concerto per organo, fisarmonica e orchestra, Strahlen des Feuers.

 

Nella stagione 2022-23 sei compositrice in residenza a La Toscanini che ha già eseguito Angelo di fuoco, per grande orchestra, con un finale dove una lunga sequenza delle campane si sovrappone al testo di una poesia, sussurrato dagli orchestrali. Da dove viene questa idea?

Per questo pezzo mi sono ispirata ad alcuni versi di Nikolay Gumilyov («Ali che sbattono nel cielo come un vessillo / Lo stridore dell’aquila, il frenetico volo / Metà del corpo è fiamma / metà del corpo è ghiaccio»): parlano dell’Angelo che lotta per la giustizia, per questo c’è uno scampanio al culmine del pezzo: è come se l’angelo stesse volteggiando nel cielo. Ho preso anche qualche spunto da un pezzo corale di Pavel Chesnokov, Angel Vopiyashe (L’angelo ha pianto). Il mio brano fondamentalmente vuole esprimere la mia preoccupazione emotiva per i disordini del mondo in questo momento. E la mia speranza che l’Angelo ci aiuti.

 

Cosa vuoi dirci degli altri due pezzi che saranno eseguiti a Parma, il prossimo maggio: Chaconne per mandolino e orchestra e Respiro Rosso per quintetto di fiati e percussioni?

In Respiro rosso voglio ricreare il senso del respiro con gli strumenti, usando suoni sperimentali, che ricreino l’effetto dell’aria, del soffio, del sussurro. Sto cercando di fondere questi suoni percussivi e ariosi dei fiati con quelli delle percussioni. Chaconne è stata originariamente pensata per il mandolinista Jacob Reuven, come una sorta di continuazione di un mio precedente lavoro, Mirroring Contrapunctus, basato su temi bachiani. Jacob lo aveva ascoltato e mi aveva chiesto di fare una cosa simile con il mandolino: il solista suonerà quindi una ciaccona in stile barocco, mentre l’orchestra sarà creare queste texture intorno con molti suoni sperimentali.