Due battute con … Francesco Migliarini
“Eventi contemporanei: oltre al suono ascoltiamo anche il silenzio”. È il titolo del prossimo concerto aperitivo. Com’ è nato questo progetto e quanto è importante il valore del “silenzio” in un concerto per percussioni.
Mi viene da dire che sia importante come preparazione al suono. In questo concerto, come dice Sciarrino stesso del proprio brano, vi è piuttosto una “tendenza estrema all’impercettibile” che esige la condizione di partenza del silenzio e nasce da questo. La percussione personalmente credo venga valorizzata con un’attenzione quasi assoluta alla bellezza del suono.
E’ una ricerca infinita, affascinante, forse impossibile, mutevole poiché relativa ad ogni luogo, strumento, contesto. Ed è una bellezza in senso lato. Comprende l’essere “sgradevole”, violenta, scioccante, fisica, ossessiva. Ecco in questo concerto sono presenti tutti questi elementi. Ma il nostro progetto non è partito da questa ricerca. Questo è ciò che fa un percussionista in ogni singolo giorno, in ogni singolo momento del proprio lavoro, che sia in quartetto o sia in orchestra.
Ricerca infinita di un suono, di un “colore”, del colore più adatto. Come un pittore matto che vaga sovraeccitato con la sua tavolozza in mano, piena di colori, cercando continuamente quello più adatto ed in fondo senza mai esserne davvero soddisfatto.
Questo progetto invece parte dalla volontà di proporre e di studiare della musica differente da quella che suoniamo e studiamo in orchestra, nonché dalla voglia di poter fare un tipo di lavoro diverso, più intimo, più profondo.
Relazionarsi paritariamente, confrontarsi tra amici e musicisti che si apprezzano e si stimano. Curare ogni dettaglio.
Questo nella musica da camera è possibile ma il nostro repertorio è molto limitato e circoscritto.
Purtroppo autori come Mozart, Beethoven, Brahms, piuttosto che Rossini non hanno scritto musica da camera per percussioni. E’ stata scritta nel novecento. E noi in questo concerto abbiamo voluto affrontare tre importantissimi compositori italiani, molto distanti tra loro per generazione e scrittura, ma che si sono voluti dilettare con la formazione del quartetto di percussioni.
Un concerto di sole percussioni è nell’immaginario collettivo una combinazione di strumenti particolare: quali sono a tuo avviso i punti di forza di questa formazione? Quali le difficoltà che avete dovuto affrontare per lo studio di questo concerto?
Il fascino dell’impiego di suoni da strumenti impropri. Rami di albero, vetri che si rompono, palline che rimbalzano ed archi che sfregano i tasti di un vibrafono. Unito ad una teatralità gestuale imprescindibile.
Indubbiamente le difficoltà maggiori, oltre all’infinita ricerca del suono perfetto come dicevamo prima, sono le difficoltà logistiche legate agli spazi per contenere tutti questi strumenti e tutta questa massa d’aria sonora che si smuove.
Ma anche il tipo di lavoro per suonare assieme senza un direttore, differentemente da come noi percussionisti siamo spesso abituati.
Saranno eseguite musiche di autori contemporanei come Sciarrino, Scelsi e Sollima. Cosa ci puoi raccontare di questi brani scelti?
Un contrasto di scrittura e di linguaggio molto ampio.
Scelsi così “tradizionale”, scrive tanto dettagliatamente sul pentagramma, dalla notazione, alle indicazioni di tempo, alle dinamiche, in un linguaggio che ricorda lavori importanti per la nostra letteratura come quelli di Edgar Varese di trent’anni precedenti.
Sciarrino che dilata questi schemi mantenendo una scrittura più o meno tradizionale ma tratteggiando le battute, quasi a voler dissolvere la scansione del tempo, concentrandosi sul suono, dilatando la percezione, impiegando simboli che integrano la notazione per descrivere suoni, effetti e rumori.
Sollima ammicca al linguaggio pop. Fruibile, quasi giocoso o goliardico, gioca sul minimale, le ripetizioni, i cicli, trasportandoci tra i movimenti di Millenium bug, dal melodico, al trance meditativo, fino al tribale.
A cosa serve la musica?
Questa domanda la trovo molto complessa nella sua semplicità e schiettezza. Subito mi sovvengono più tipi di risposta, da quella formalmente corretta ad altre più intime, introspettive e personali. Azzarderei a dire che questo senso possa anche cambiare nel tempo, nelle fasi della vita. Come disciplina di studio e di conoscenza forma alla sensibilità. Una sensibilità più acuta, come tutte le arti. E’ anche una compagna di vita. E’ passione, qualcosa che non vuoi mai smettere di approfondire, di conoscere e di studiare. E’ un riferimento. Sarà sempre con me in ogni momento in cui ne cercherò rifugio.
E’ ed è stata un confronto continuo, intimo con me stesso, i miei limiti, negli infiniti momenti di studio in cui sei solo a confronto con questi. E’ condivisione. Gioia e divertimento da condividere, la motivazione da cui per me è iniziato tutto, il gruppo con gli amici. E’ anche gioco. Con i miei figli, la mia compagna. Una parte così grande, così fortemente e così conflittualmente presente in me che voglio in tutti i modi conoscano poiché parte imprescindibile di me. Tante emozioni.